Gli spazi che ospitano uno studio di architettura affermato (Architetto Andrea Mamino – Bra, www.studiomamino.com) si prestano perfettamente a modello ed esempio di intervento in grado di dare nuova vita a un appartamento datato e poco razionale (in questo caso degli anni ’70).
La realizzazione di un open space, grazie alla demolizione delle pareti interne, era il fulcro del progetto, che si proponeva di costruire uno spazio aperto anche in senso concettuale, luminoso, funzionale, ma anche capace di stimolare l’aspetto creativo. Da ultimo, ma non meno importante, il risultato finale doveva mostrare gli aspetti connessi alla dimensione lavorativa dell’architetto, raccontando la sua filosofia e la sua professionalità.
Un piccolo appartamento degli anni ’70 viene riconvertito in studio di architettura: l’abbattimento dei muri interni consente la creazione di un open space, dove gli accenni industrial sono immediatamente intuibili dall’ingresso.
All’ingresso, lo sguardo si concentra inevitabilmente sullo sfondo, una lunga parete dove la linea prospettica è sottolineata dall’ampia scrivania a nastro condivisa, dalla scaffalatura minimal sviluppata su tutta la lunghezza e persino dall’illuminazione puntuale che traccia una linea di faretti sull’area di lavoro. Una soluzione brillante per ampliare la percezione spaziale, in mancanza di soffitti alti e grandi superfici, ma anche nucleo bicromatico principale, da cui parte l’alternanza optical rintracciabile in altri angoli dell’ufficio.
Lo spazio all’ingresso, antistante la zona lavoro, ospita un’area accoglienza, dove la full immersion nella creazione architettonica è immediata: la parete che divide le due finestre si trasforma, con un semplice espediente cromatico, in una grande bacheca nera che appare come sospesa a una nicchia illuminata. Le immagini e i render campeggiano in primo piano, ispirando al potenziale cliente idee e suggestioni. Chiusa è, invece, la sala riunioni grazie a pareti in vetro e ferro, dove tornano il nero nei profili orizzontali della vetrata e il bianco in molti dettagli d’arredo.
Nel complesso non sfuggono le citazioni industrial, come i pilastri in cemento grezzo e, insieme, il rimando al concetto di riutilizzo, come nella lunga scaffalatura realizzata con assi da ponteggio, e nel piano del tavolo della sala riunioni, ricavato dalle doghe di un pavimento in legno: a dimostrazione che in architettura ogni cosa può avere una seconda esistenza.
La zona lavoro è sviluppata lungo la parete di sfondo. Una scrivania a nastro e una scaffalatura su tutta la lunghezza ne marcano la linea prospettica, amplificando la percezione spaziale. La scaffalatura è realizzata con vecchi assi da cantiere, nel segno di un design capace di recuperare in modo intelligente.
Gli spazi che ospitano uno studio di architettura affermato (Architetto Andrea Mamino – Bra, www.studiomamino.com) si prestano perfettamente a modello ed esempio di intervento in grado di dare nuova vita a un appartamento datato e poco razionale (in questo caso degli anni ’70).
La realizzazione di un open space, grazie alla demolizione delle pareti interne, era il fulcro del progetto, che si proponeva di costruire uno spazio aperto anche in senso concettuale, luminoso, funzionale, ma anche capace di stimolare l’aspetto creativo. Da ultimo, ma non meno importante, il risultato finale doveva mostrare gli aspetti connessi alla dimensione lavorativa dell’architetto, raccontando la sua filosofia e la sua professionalità.
Un piccolo appartamento degli anni ’70 viene riconvertito in studio di architettura: l’abbattimento dei muri interni consente la creazione di un open space, dove gli accenni industrial sono immediatamente intuibili dall’ingresso.
All’ingresso, lo sguardo si concentra inevitabilmente sullo sfondo, una lunga parete dove la linea prospettica è sottolineata dall’ampia scrivania a nastro condivisa, dalla scaffalatura minimal sviluppata su tutta la lunghezza e persino dall’illuminazione puntuale che traccia una linea di faretti sull’area di lavoro. Una soluzione brillante per ampliare la percezione spaziale, in mancanza di soffitti alti e grandi superfici, ma anche nucleo bicromatico principale, da cui parte l’alternanza optical rintracciabile in altri angoli dell’ufficio.
Lo spazio all’ingresso, antistante la zona lavoro, ospita un’area accoglienza, dove la full immersion nella creazione architettonica è immediata: la parete che divide le due finestre si trasforma, con un semplice espediente cromatico, in una grande bacheca nera che appare come sospesa a una nicchia illuminata. Le immagini e i render campeggiano in primo piano, ispirando al potenziale cliente idee e suggestioni. Chiusa è, invece, la sala riunioni grazie a pareti in vetro e ferro, dove tornano il nero nei profili orizzontali della vetrata e il bianco in molti dettagli d’arredo.
Nel complesso non sfuggono le citazioni industrial, come i pilastri in cemento grezzo e, insieme, il rimando al concetto di riutilizzo, come nella lunga scaffalatura realizzata con assi da ponteggio, e nel piano del tavolo della sala riunioni, ricavato dalle doghe di un pavimento in legno: a dimostrazione che in architettura ogni cosa può avere una seconda esistenza.
La zona lavoro è sviluppata lungo la parete di sfondo. Una scrivania a nastro e una scaffalatura su tutta la lunghezza ne marcano la linea prospettica, amplificando la percezione spaziale. La scaffalatura è realizzata con vecchi assi da cantiere, nel segno di un design capace di recuperare in modo intelligente.